mercoledì 16 giugno 2010

Untitled

Ho sempre ammirato i lavori della signorina Anna Priante.
Su, su, smettetela di ridere. E' vero!

Trovo estremamente interessante il fatto che lei sia riuscita a costruire i propri racconti (e se stessa) su un'accozzaglia di aggettivi estratti da un cappello, di luoghi comuni e di retorica da prete di provincia.

Ultimamente, è per caso finito nelle mie mani il suo libello "Il Buddha Insanguinato", contenente due dei suoi racconti, con i quali è arrivata seconda a un concorso, e per i quali si esalta immancabilmente, tanto da aver aperto una FanPage su Facebook. Probabilmente, un semplice account era troppo poco per una simile musa della scrittura.

Il primo racconta la toccante storia di due ragazzini birmani, dai nomi così impronunciabili, e descritti così banalmente, che per tutta la breve storia me li sono figurati come due parallelepipedi gialli.

Il racconto inizia con un certo Suu (che non è nessuno dei due protagonisti, infatti non ho capito molto bene che cazzo ci fa..) che cammina sotto

Il sole rosso che proiettò i suoi ultimi raggi sulle baracche lungo la riva del fiume.

Per definizione: Il sole è sempre rosso, e i raggi sono sempre gli ultimi. Tramontava, probabilmente, avrebbe evitato all'autrice la possibilità di simili esercizi linguistici. E anche accorciato il racconto.

Suu avanzava con passo fiero tra le casupole, il sacchetto tintinnante di denaro ben stretto alla cintura, il sacco di riso caricato in spalla, la grossa latta d'olio sottobraccio e l'immancabile mitraglietta a tracolla.

Ora, ditemi se questo è un uomo, o un' Apecar.

...esclamò Suu varcando la soglia della sua misera baracca..

Per definizione: La soglia và sempre varcata, e le baracche sono sempre misere. Probabilmente, entrò nella sua baracca era troppo semplice, e non concordava con il voler stressare inutilmente la situazione e stracciare i coglioni delle persone, sono sicuro, volontà dell'autrice.

Dopo il risolversi di questa situazione, che non c'entra un beneamato cazzo con tutto il resto del racconto (infatti, i due personaggi non ritorneranno MAI PIU'), si passa a descrivere la situazione di un ragazzino in una camerata.
Esso viene ripetutamente percosso da una guardia, e spende un intero paragrafo a mugolare e piangere.

Successivamente, in un exploit degno dei migliori sceneggiatori di LOST, compare, in corsivo, un immenso flashback lungo quattro facciate, dove viene spiegata la storia di questi due bambini, e il loro rapporto viene liquidato in due righe:

Più che mai da quel giorno, Han fu per Maung più di un fratello maggiore: una guida e un sostegno immancabile

La storia dei due bambini è quantomeno confusionaria e idiota:

Dopo essere rimasto orfano, Maung era andato a vivere con Han e i suoi, fino a quando non furono abbandonati entrambi: i genitori del ragazzo, sistemato il fratello più grande in un monastero a Yangoon, non riuscendo a trovare una sistemazione anche per il figlio minore e l'amico, fuggirono dalla città, non avendo denaro a sufficienza per sfamarli.

Ora, dopo aver fatto un bel respiro profondo, esservi inghiottiti una dose da Terrasque di Valium, provate a districarvi fra questo labirinto testuale, costruito ad hoc per farvi perdere il contatto con la realtà.
Fatto? Bene, perchè dopo un paragrafetto, che continua il solito "buu buu sono triste" di Han, che cosa può esserci di meglio di un altro flashback?

Ma sebbene il ragazzino lo avesse ripetuto senza esitare un secondo, non gli fu risparmiata un'altra razione di botte. La più terribile, la più dolorosa.

L'autrice, donna vissuta e di mondo, non ci risparmia le più raffinate tecniche da Harmony di seconda categoria, con frasi come:

Quella stessa luna che forse Han, da qualche altra parte della città, stava guardando.

Naturalmente, come ogni bravo protagonista che si rispetti, egli è schivo, introverso, e riflessivo. Egli, come l'autrice, è uno sfigato di prima categoria, emarginato dal mondo, non capisce sè stesso.

Maung uscì in silenzio dal suo angolo, indifferente a tutto quell'entusiasmo.

Egli cerca la fuga, ma non ci riesce. Il paese lo intrappola e lo soffoca:

Aveva tentato più volte di scappare, cercando di fuggire all'estero, oltre il confine, la libertà.

Per definizione: la libertà si trova sempre oltre il confine. Ora, non so con quali stati confini la Birmania, ma sono sicuro che non siano tanto meglio. Ma lasciamo all'autrice le sue illusioni idealiste, che ci fanno tanto ridere.

Chissà perché, ma come in un successivo racconto di un Cyborg, egli

Era diventato un automa, una macchina di morte e repressione: aveva lasciato sentimenti e cuore nel passato ed era diventato indifferente alle cose del mondo.

Un po' come Galadriel nel Signore Degli Anelli, insomma. O il Dottor Manhattan.

Insomma, dopo aver continuato un bel po' con questo "si, ma non voglio, io non sono così, io non uccido, però lo faccio, ma non lo voglio veramente", finalmente comincia a scorrere del sangue, si becca un paio di insulti.
Sinceramente, non so come faccia a sentirli, gli insulti in mezzo a una battaglia, ma avrà l'orecchio selettivo. Oppure si crea una specie di cerchio sacro.
Un po' come nella Guerra di Troia.
Solo che l'autrice non scrive nel trecento avanti Cristo, e la cosa è decisamente datata.

Terribile fu la tortura nel vedere chi aveva davanti a sè. Era Han.

°musichetta temibile°
TANANANAAAAAAAAAAAAAAHHHH!

E, naturalmente,

In lontananza risuonavano i colpi delle mitraglie e i lamenti dei monaci.

Ma..ma..ma.. O_O Non erano nel bel mezzo della battaglia? O i Birmani hanno il potere del teletrasporto?

Dov'era finito il ragazzino spensierato che amava giocare con il suo migliore amico, per lui come un fratello, e che sperava in una vita più fortunata?
Se n'era andato, era sparito. L'infanzia gli era stata rubata dalla violenza della guerra.
Era cresciuto troppo in fretta, senza volerlo: costretto, obbligato.

Sinceramente? BASTA! BASTA! Aggettivi, verbi ripetuti e stressati oscenamente.
Dillo, che non sei capace di descrivere dei sentimenti/pensieri, senza doverci ricorrere a iosa!
Te lo possiamo perdonare! Ma non occorre che mi tiri fuori il Garzanti o il Devoto-Oli per ogni cazzutissima frase.

Molto gentilmente, vi risparmio i piagnistei senza senso su come la guerra rovina le persone, e passo direttamente alle metafore buddiste di quando Han diventa un monaco, rinunciando alle battaglie. (Ovviamente, nulla spiega come abbia fatto a scappare, visto che ci aveva provato innumerevoli volte, prima. Ma tant'è..)

L'arietta fresca della primavera spirava tra i rami in fiore delle magnolie e portava con sè il loro profumo, mentre un nugolo di uccellini si abbeverava nella vasca a forma di conchiglia posta al centro del giardino.

GRAZIE, Anna Priante. Infinitamente GRAZIE, per mostrarci tutta la tua capacità nel creare scene idilliache di perfetto stilismo bucolico. L'aria che spira, sopratutto, mi fa pensare che stia per morire.
Adesso vai a saltellare in mezzo a un prato, vai.

Fra tutte ve n'era una che aveva la forma di un quadrifoglio, con ampie lamine tonde che si protendevano verso l'infinito turchino.

E la fata dove l'hai lasciata, stellina? Azzurro, troppo comune, troppo semplice. Continuiamo a usare il dizionario dei Sinonimi/Contrari. Prega solo di non finire le parole.
Oltretutto, da quando in qua le nuvole hanno le lamine? A me risulta che ci siano nelle acciaierie.

La quiete era assoluta. Ma la mente del monaco cavalcava lesta come un purosangue delle praterie.

Probabilmente si credeva John Wayne. Doveva essere una visione buddista decisamente noiosa, se ha sentito il bisogno di immaginarsi degli spaghetti western.

A volte gli capitava di sentire le piante stesse respirare: gonfiavano ed abbassavano il loro petto di corteccia con grazia, mentre la linfa vitale scorreva nelle loro vene.

Dimmi una cosa, dolce Anna, è una cosa così necessaria? Le tue descrizioni idilliache, le trovi in un libretto dal quale fai copia/incolla nei tuoi racconti? A che cosa serve? Che cosa ci ha fatto comprendere, qual è la fottutissima necessità di questo paragrafetto, a parte quella di continuare a enfatizzare le tue teorie da pastorella? Spiegamelo, ti scongiuro. Probabilmente sono troppo stupido per capirlo.

Tutta questa panzana isterica dovrebbe, comunque, farci comprendere che... che cosa?
Maung, quando si trovava nel magico cerchio del racconto, aveva visto Han colpito da un proiettile. Era scappato, si era fatto monaco, e ha passato nove anni in meditazione.
Il bello è che questa cosa NON VIENE ASSOLUTAMENTE SPIEGATA!

Ritornando più in dietro, noi troviamo che:

Avanzò un poco verso l'amico che lo fissava con sguardo vuoto, terrorizzato.
Non trovò la forza, non trovò il coraggio.
Impotente, Maung scappò via.
Avrebbe voluto fermarsi, avrebbe voluto tornare indietro.
[tre frasi incisive e profonde come un rastrello da giardino]
Ma non trovò la forza di farlo.

E fin qua, non capiamo un emerito cazzo. Senonchè:

Erano passati quasi nove anni da quando lo aveva visto l'ultima volta: gli occhi scuri incavati, ma che ancora non avevano perso la loro profondità.
Pochi fugaci attimi: era avanzato un poco.
Poi era scappato.
Subito, accecato dall'ira, lo aveva odiato dal più profondo del cuore.
Ma un po' alla volta tutto si era fatto più nitido, la mente si era liberata, svuotandosi completamente. Impotente, non riusciva a pensare a nulla.
Ricordava solo che aveva pianto tanto su quel corpo freddo e inerme che giaceva tra le sue braccia.

Ecco. Insomma, lo hanno ucciso? L'ha ucciso lui? L'ha ucciso qualcun'altro? E' morto d'infarto? E' scappato? E' scappato lui? Quesiti che rimangono senza risposta.

Il racconto non finisce qui. Ma se davvero volete andare avanti a leggere, fatelo pure. Compratele il libretto (sono sicuro che ne ha quattro/cinque magazzini pieni, non siate timidi) e scoprite nell'ultima parte come l'amore fraterno supera gli orrori della guerra, e di come:

mentre l'editore e il libraio gioiscono nella saletta accanto, contando le banconote.

Perché, ovviamente, gli editori e i librai sono degli avidi succhiasoldi, mentre l'autore, mio dio!
E' così avanti/puro/illuminato dal sacro fuoco dell'Arte che non si preoccupa di simili schifezzuole come il denaro.

E pure le frasi sdolcinate ed edificanti, infiliate dentro perchè fa tanto radical chic perbenista, e piace di sicuro ai giudici:

Perché i bambini sono il nostro futuro: saranno loro a forgiare il mondo che verrà

Mi immagino l'autrice, seduta fra una pila di carte, che ride in modo maniacale. Probabilmente, ogni mattina, quando si guarda allo specchio, urla in modo inconsulto una serie di aggettivi a caso, tanto per autoconvincersi di essere una magnifica scrittrice esordiente.

Ella è incomprensibile a noi, comuni mortali. Non ha bisogno di giustificare il suo lavoro, non importa.

Naturalmente, ella se la intende benissimo con i professoroni, con gli esseri superiori,
"oltre-coscienza"

Se non lo capiamo, sono tutti problemi nostri. Perchè LEI è quella che detiene la conoscenza e la capacità di scrittura.


Per dirla con le sue parole:

Una fiamma che brilla nel buio, sfolgorante bagliore di stella,

Per quanto mi riguarda, mi rivolgo, come sempre, al più grande filosofo che conosca:


1 commento:

  1. non credo che la retorica del prete di provincia sia tanto diversa dalla dialettica del prete di città...

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